“L’oggetto della musica è il suono. La musica ha lo scopo di divertire e di suscitare in noi diversi sentimenti” Descartes
Apprezzare e definire come bella una musica o un suono significa riconoscere che è un aspetto intimamente legato alla temporalità. Quando qualcuno dice che un musica è bella, è perché ne apprezza la melodia o viene colpito da uno o da una serie di timbri. Questo è solo l’aspetto superficiale che in molte metafore poetiche e visive viene paragonata alla bellezza femminile. La storia dell’idea del bello del suono, dal punto di vista diacronico, dovrebbe coincidere con la storia degli ideali estetici che si sono succeduti nel corso dei secoli. L’opposizione tra il bello visibile, immediato, e quello più interiore o mediato viene applicata ad eventi acustici, ma ciascuno comporta una forma di piacere diverso: l’uno sollecita i sensi,l’altro l’intelletto. La dimensione sonora diventa così una qualità prevalente che nel suono emana un “incanto”, ossia esercita un potere seduttivo.
Già nella Grecia del IV sec. a.C., Platone componeva i Dialoghi i quali segnarono un vero e proprio agti di nascita di una visione del mondo, a cui molti si riferirono e che nei secoli successivi rimase inalterata. L’idea del bello si afferma come categoria metafisica e non estetica. Il bello trova la sua legittimazione ultima nel bene. Il fine ultimo dell’educazione musicale risiede proprio nel risvegliare l’amore per il bello e avviare l’uomo alla contemplazione del bene. Essa ha il potere di educare al bello grazie alla sua capacità di trasmettere all’anima ritmi e armonie basate su principi di ordine e simmetria e di conferirle così un’armoniosa bellezza. Belle, dunque, erano definite le musiche che sortivano un effetto positivo sull’animo umano. La bellezza musicale per Platone non è che un riflesso del suo fine ultimo, quello di risvegliare nell’uomo l’amore per il bello avviandolo così alla contemplazione del bene.
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