Il liuto e la sua evoluzione organologica.
Cordofono composito con manico a collo a guscio. Presenta cassa arrotondata piriforme, manico corto, 7 o più tasti, cavigliere rivoltato all’indietro ad angolo retto.
Il termine Liuto deriva dall’arabo “Ud” (Legno) organologicamente è un vocabolo che designa uno specifico strumento, ma anche adottato per comprendere genericamente un’antica famiglia di strumenti. Nel primo caso, chiaramente, si fa riferimento allo strumento derivato dallo “Ud” arabo, importato in Europa dai Mori durante la loro occupazione della Spagna (711-1492). Le Crociate e i rapporti commerciali con il Medio Oriente favorirono la penetrazione dello strumento in altre parti d’ Europa durante il Medioevo. Nel secondo caso il vocabolo Liuto fu adottato per indicare genericamente gli strumenti precedenti all’importazione dello strumento arabo, usati nell’antichità e strutturati con una cassa quasi sempre ovale e manico lungo o corto. Il nome deriva probabilmente dal materiale con cui veniva costruito, in opposizione ad altri materiali quali per esempio la pelle per la tavola risonante oil guscio di tartaruga per il corpo arrotondato. La radice Ud si mantenne nelle epoche con molta tenacia, passando nelle lingue europee e fondendosi con il suo articolo (al-ud). In italiano Liuto, in francese Luth, nel tedesco Laute, nell’inglese Lute, nell’olandese Luit, nello svedese Luta, etc..
Storicamente viene diviso in due categorie, Liuto lungo e Liuto corto.
Il Liuto lungo è il più antico e costituisce una famiglia di strumenti con il manico più lungo della cassa; la storia dello strumento si estende dalla Mesopotamia (2000 a.C.) all’avvento del colascione strumento in uso nella tradizione popolare napoletana. La Mesopotamia chiamò il Liuto lungo pan-tur (letteralmente piccolo arco). Le manifatture primitive ricavarono dai gusci dei vegetali e la dotarono di una tavola armonica di pelle. Per questa ragione la cassa del pan-tur è piccola, lo strumento ha un lungo manico, due corde annodate all’estremità del manico senza piroli. Gli Assiri attribuiscono l’invenzione a Polluce, i Greci agli Egiziani. La prima affermazione è tratta dalla legenda, la seconda legata al fatto che i Greci individuavano spesso nell’Egitto l’origine delle cose. I Persiani non accettarono l’etimo e preferirono affidarsi ad un sistema ben noto a questi popoli e cioè lo indicarono con il numero delle corde: dutàr (tipo a due corde); setdr (a tre corde); cartàr (a quattro corde); panctdr (a cinque corde); gli Arabi adottarono il termine assonante Tanbur. L’iconografia egiziana mostra il Liuto di preferenza in mano alle donne. Mantiene la cassa ovale con tavola armonica di pelle e differisce dai precedenti per la differente maniera di attaccare il manico alla cassa.
Nei tipi già citati questa congiunzione era realizzata in modo elementare facendo passare il bastone longitudinalmente da parte a parte, ottenendo così una solidità indispensabile per il maneggio dello strumento. Gli Egiziani scartarono questa soluzione che produceva una fuoruscita del manico dalla parte inferiore della cassa non certo piacevole a vedersi. Riuscirono a contenerlo nella cavità della cassa, fissandolo su un supporto interno o, incastrandolo nella pelle, che costituiva la tavola armonica, sopra e sotto. Rimaneva il problema di afferrare le corde nella parte inferiore del manico che in questo modo sarebbero state irraggiungibili. Gli Arabi ricavavano dal succitato tanbúr un suono metallico, praticamente indefinito, che concludeva le strofe del canto. Oltre alle corde metalliche e al plettro, l’osservazione più importante che possiamo fare rispetto al tanbúr riguarda la presenza dei piroli foggiati a T e innestati di fronte e di lato per influssi di pratiche arabe, persiane e turche. Il tanbúr a 3 corde (e quindi setdr) è il più diretto antecedente del nostro colascione.
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